Ali (Ekin Koç) torna in Turchia dopo aver vissuto negli Stati Uniti e si trova ad affrontare un lutto, un padre autoritario e un matrimonio in crisi; l’arrivo del misterioso Reza nella sua casa di campagna fa nascere un legame ambiguo in cui i due finiscono per rispecchiarsi e proiettare l’uno sull’altro desideri e ombre. Tra paesaggi aridi ripresi dalla fotografia inquieta di Bartosz Świniarski, il film intreccia memoria e il bisogno di riscrivere se stessi. L’idea cardine è linguistica e morale: “tradurre” è anche “uccidere” una versione precedente di sé per farne nascere un’altra.